Artemisia Gentileschi – Lisa Rancati
“Finché avrò vita, sarò io ad avere il controllo della mia esistenza.” – Artemisia Gentileschi
Artemisia Gentileschi fu una pittrice italiana del periodo barocco e una delle più grandi donne della storia dell’arte. Sebbene molto conosciuta in vita, dopo la morte fu quasi completamente dimenticata per secoli e la sua figura è stata riscoperta solamente in anni recenti, soprattutto grazie al movimento femminista, che l’ha resa un’icona della lotta di genere. Artemisia fu una donna determinata che, nonostante le tante difficoltà incontrate lungo il suo percorso, non si diede mai per vinta. Un emblema della forza femminile, oltre che un’artista dal talento straordinario.
Nata nel 1593 a Roma, Artemisia mostrò fin da piccola le sue doti artistiche, ma intraprendere la carriera di pittrice in un mondo che non permetteva alle donne di frequentare scuole d’arte non era affatto semplice. La giovane venne educata all’arte da suo padre, il pittore Orazio, e nonostante il predominio maschile nel settore, Artemisia riuscì a distinguersi per la sua bravura fin dalla tenera età: la sua prima opera riconosciuta fu Susanna e i vecchioni, dipinta nel 1610, che appare come una chiara raffigurazione della sua indole, poco incline ad accettare il ruolo di subordinazione che il mondo di allora riservava alle donne.
La sua vita conobbe una dura svolta all’età di diciassette anni, quando subì uno stupro da parte di Agostino Tassi, il suo maestro di prospettiva. Tassi le promise un matrimonio riparatore, uno dei modi con cui all’epoca era possibile restituire dignità ad una donna violata, ma non rispettò l’impegno. Artemisia decise allora di andare incontro ad un lungo e umiliante processo, denunciandolo per stupro: una decisione inusuale per l’epoca, sinonimo di disonore e vergogna, in quanto una donna non più vergine e non sposata era considerata una poco di buono ed era pensiero comune che in caso di violenza fosse la donna la responsabile, colpevole di aver sedotto e provocato il suo aggressore. La difesa tentò in tutti i modi di screditare la ragazza, sottoponendola a umilianti visite ginecologiche e torture, tra cui lo schiacciamento dei pollici, che poteva essere fatale per il suo futuro da pittrice. Artemisia difese le sue dichiarazioni con grande determinazione e, dopo mesi infernali, Tassi venne finalmente giudicato colpevole ed esiliato da Roma.
Anche Artemisia dovette lasciare la città, per via dello scalpore generato dal processo presso l’opinione pubblica. Suo padre combinò un matrimonio con l’artista Pierantonio Stiattesi per ridarle onorabilità, ma la donna non esitò a lasciare il marito e a tornare a Roma con le sue figlie, senza timore delle conseguenze di questa ennesima scelta di coraggio. Nel 1616 fu la prima donna a essere ammessa all’Accademia di Disegno di Firenze, un prestigioso riconoscimento. Spinta dalla sua ambizione e intraprendenza lavorerà come artista indipendente ed emancipata a Venezia, a Napoli e persino a Londra, alla corte di re Carlo I Stuart.
Le protagoniste delle sue opere sono soprattutto eroine bibliche, che incarnano fierezza, determinazione e grinta, padrone del proprio destino, in cui non possiamo che riconoscere la stessa Artemisia. L’artista non si fece abbattere dagli stereotipi e dalle difficoltà imposte dalla sua epoca, si ribellò alla violenza subita e seppe trasformare i traumi vissuti in un punto di forza.
Quando penso ad Artemisia Gentileschi mi viene in mente non solo una brillante artista, ma anche un punto di riferimento per tutte le donne, a cui non deve mai mancare il coraggio di far sentire la propria voce, la volontà di affermare la propria identità, l’audacia di non farsi calpestare da una società che, pur essendo molto diversa da quello in cui viveva Artemisia, ancora conserva logiche maschiliste inaccettabili. Che la storia di questa donna possa essere un’ispirazione e un esempio per tutti noi.
Elena Marinucci – Valentina Bartoletto
“Uno degli scopi precipui della Commissione per la realizzazione della parità̀ tra uomo e donna è quello di rimuovere tutti i residui pregiudizi nei confronti delle donne stimolando e favorendo un cambiamento nel modo di pensare, di agire e di esprimersi. Le leggi non bastano per modificare la società̀, quando «abiti» culturali e atteggiamenti continuano a ribadire sfiducia per le donne che non rientrano nei ruoli imposti dalla cultura maschile. Perché́ il rapporto di potere tra i sessi cambi in senso veramente paritario si deve anzitutto acquistare consapevolezza delle varie forme in cui la disparità viene mantenuta. La lingua che si usa quotidianamente è il mezzo più̀ pervasivo e meno individuato di trasmissione di una visione del mondo nella quale trova largo spazio il principio dell’inferiorità̀ e della marginalità̀ sociale della donna. “ – Frammento estratto dalla presentazione a “Il sessismo nella lingua italiana” di Elena Marinucci, Presidente della Commissione per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Roma 1993.
Le parole di Elena Marinucci, risalenti ai primi anni Novanta, riecheggiano oggi con la stessa intensità che possedevano nel momento in cui sono state pronunciate. Sebbene stiamo assistendo a significativi cambiamenti circa il raggiungimento della parità fra i sessi, la strada da percorrere è ancora tanta dal momento che la disparità di genere è tuttora molto accentuata nella società odierna, specialmente in ambito lavorativo: viene infatti coltivata da pregiudizi e una forma mentis che con difficoltà donne di grande valore cercano di sradicare. Elena Marinucci è una di queste donne, di cui vale la pena parlare in un giorno come l’8 Marzo, ricorrenza che deve rappresentare un momento di riflessione per tutti. Quest’ultima può essere incentivata ripercorrendo la vita e le azioni di donne virtuose come lei, da cui possiamo prendere esempio e assorbire la forza di volontà con cui toglierci gli abiti che rappresentano un vetusto retaggio culturale che non deve appartenere più al corpus della società.
Elena Marinucci è nata a L’Aquila nel 1928. Dopo studi di matrice classica ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università di Roma “La Sapienza”. Gli anni universitari rappresentano l’inizio della lotta per la parità dei sessi. Sensibile e agguerrita riguardo ai temi di aborto e divorzio, è stata attiva sin da giovane, attraverso la partecipazione ad una manifestazione a favore della Legge Fortuna-Baslini concernente il divorzio. La sua perseveranza la ha portata ad ottenere considerevoli risultati attraverso le sue parole, il suo impegno e i suoi elaborati. La Marinucci si è occupata insieme a Laura Remiddi di aborto e divorzio in “Guida all’aborto legale. Come applicare e gestire la legge sull’interruzione della gravidanza ”, pubblicato nel 1978.
L’ex senatrice vive la sua formazione in anni molto difficili in cui la figura femminile era svalutata da un mondo fortemente maschilista, che tentava di limitare l’impegno della donna all’ambito famigliare e a piccole decisioni di ordinaria amministrazione. Fondamentale per la sua maturazione è stato il Teatro Maddalena, mediante il quale si avvicina al mondo femminista: si iscrive all’Unione delle Donne Giuriste e alla fine degli anni Settanta fonda il suo personale partito Lega delle Donne per il socialismo, diventando così una figura di riferimento per il partito socialista. Donna dalla grande influenza che è stata insegante e avvocatessa, fino ad arrivare a ricoprire ruoli di altissimo livello, tutti caratterizzati dalla forza di volontà che la Marinucci ha manifestato per contribuire all’emancipazione del mondo femminile verso la “pari opportunità” di uomo e donna. La Marinucci è stata senatrice per tre legislature a partire dal 1983; sottosegretaria alla Sanità per cinque anni a partire dal 1987 ed eurodeputata dal 1994 al 1999. Tra il 1984 e il 1987 ha presieduto la Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra Uomo e Donna presso la Presidenza del Consiglio, composta da 30 donne.
Le battaglie della Marinucci hanno posto le basi per importanti cambiamenti che oggigiorno il mondo femminile sta affrontando. Con queste poche righe voglio rendere omaggio a tutte le donne che quotidianamente si mettono in gioco per superare i limiti e gli stereotipi ancora presenti nella società.
Alessia Bonari – Arianna Airoldi
L’ultima figura di donna che abbiamo scelto è rappresentativa di un’intera categoria che nell’ultimo anno, con il volto coperto da mascherine, si è impegnata direttamente o, per intenderci, “sul campo” nella guerra più importante della nostra epoca: quella contro il Covid.
Il nome Alessia Bonari potrebbe non dirvi nulla, ma il suo viso e le piaghe causate dagli strumenti di protezione – postata sui social il 9 marzo 2020 – hanno fatto il giro del mondo. A distanza di un anno è giusto ricordare e riconoscere tutte quelle donne che ogni giorno combattono per noi in prima linea la battaglia contro il Covid-19.
In Italia gli ultimi dati ISTAT disponibili (2017) evidenziano una netta maggioranza delle donne impiegate nell’ambito sanitario, sono il 66.8% sul totale nazionale. Ciò che però colpisce ancora di più sono i dati relativi all’emergenza Covid e le donne impiegate, questa fase rinominata “she-cession” – ovvero recessione – evidenzia l’impatto negativo che l’epidemia ha avuto sul mercato del lavoro e che ha fortemente e particolarmente colpito le donne in tutti i settori, anche in quello della sanità, ad oggi considerato necessario, ma anche – come approfondito in seguito – profondamente contraddittorio nell’ambito delle pari opportunità e pari retribuzione.
L’espressione “donne su tutti i fronti” coniata dall’Ocse e riportata nel dossier Istat incentrato su uguaglianza ed emergenza sanitaria indica che in Italia, come nel resto del Mondo, le donne rappresentano la forza maggiore, sul totale di occupati nell’assistenza sanitaria sono il 64,4% e l’83,8% nell’assistenza sociale; necessario è anche evidenziare che entrambi i settori sono stati classificati con il massimo livello di rischiosità tra i lavori durante la pandemia.
La sanità purtroppo è, ancora oggi, uno di quei settori in cui le differenze di genere sono tuttora evidenti e nette: l’Italia si classifica all’ottava posizione tra i paesi con le minori opportunità di carriera per le donne nell’industria sanitaria. Il divario salariale è evidente: una donna impiegata nella sanità guadagna in media il 24% in meno nei confronti di un uomo.
Con questi dati che lasciano un po’ l’amaro in bocca concludo, lasciando a voi questi tantissimi spunti di riflessione ma anche indignazione per una battaglia, ormai silenziosa, che noi donne combattiamo ogni giorno. Oggi da parte mia, e di tutta la redazione, alle donne impiegate nella sanità va la più sentita riconoscenza, stima ed affetto per l’impegno e la determinazione che ogni giorno spinge ognuna di loro ad indossare i dispositivi di protezione – ormai necessari – e correre in corsia dai propri pazienti.
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