Vi chiedete mai che impatto abbiano i brutti accadimenti giornalieri sui nostri pensieri, soprattutto quando si è nella fase giovanile, caratterizzata da speranze e sogni?
Per noi giovani non è facile accendere il notiziario e metabolizzare tutte le brutte notizie di cui ogni giorno veniamo a conoscenza, a partire dalle migliaia di morti a causa della pandemia da Covid-19.
Tra le innumerevoli vicende successe, quella che ha riguardato l’Ambasciatore italiano Luca Attanasio e carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci mi ha sconvolta: la carriera diplomatica è un mio grande sogno e questo incidente mi ha veramente scossa. Trascorso più di un mese dallo spiacevole incidente, questo brutto fatto di cronaca visita giornalmente la mia mente, come se volesse conciliarsi con una sorta di spiegazione, giustificazione sul perché nel mondo c’è così tanta violenza.
Violenza e guerra: un tema ancestrale, parte integrante della storia dell’umanità, rivisitato da molteplici figure nel corso dei secoli e dei millenni, ma che oggi più che mai porta con sé il dolore e la sconfitta di una società che è sempre più all’avanguardia, ma che trascina con sé le ombre dei paesi meno sviluppati, in cui la violenza è all’ordine del giorno.
Rimbombano come ancora attuali le parole di Erodoto concernenti la “Battaglia delle Termopili” e millenni dopo i versi di Ungaretti riguardo a quanto sia straziante il dolore che provoca la guerra insieme alla violenza. Guerra per affermare i propri valori, conquista di territori e motivi che sfumano tra quelli politici e razziali. Contemporaneamente risuonano nella mia testa di versi di “Amsterdam”, lirica di Vittorio Sereni dedicata alle vittime di guerra: sin dai tempi del liceo mi è rimasta impressa, dal momento che mi ha insegnato che il male nel mondo può cambiare forma, ma ritrova la sua essenza ciclicamente nel corso della storia. Questa essenza ha solo cambiato la forma attraverso cui si manifesta. Il male più grande che pervade la nostra società è la signora Indifferenza, che ci porta a lasciare abbandonate a sé stesse le Comunità che nutrono estrema difficoltà. Parlo sì in questo contesto della Repubblica Democratica del Congo, paese in cui il male è l’estrema povertà che si trova ad affrontare ancora nel ventunesimo secolo; paese abbandonato a sé stesso come se fosse una parte lontana del mondo a cui siamo abituati. Un paese in cui la violenza è frutto della dilagante povertà, analfabetismo ed economia di sussistenza, le cui conseguenze sono criminalità e violenza verso qualunque essere appartenente o estraneo, che prova a inserirsi nella comunità. Il 22 febbraio 2021 la disperazione e la crudeltà, mosse dalla miseria e ignoranza, hanno afferrato la vita di Luca e Vittorio, in viaggio per il programma dell’ONU World Food Programme. La morte di due anime di valore, la paura nei confronti di un paese che appare come focolaio di pericoli e torture.
Siamo tutti responsabili nel momento in cui camminiamo per strada e ignoriamo gli individui che immigrano ed elemosinano un briciolo della nostra attenzione.
Siamo tutti responsabili se non insegniamo a chi ci sta vicino che non bisogna ignorare il prossimo, soprattutto se noi stiamo meglio di lui e quindi ci sembra di non aver bisogno di aiuto e di corrisponderlo a nostra volta.
La nostra responsabilità non consiste nel fornire un piccolo aiuto materiale a chi ne ha bisogno, ma come comprendere e sfruttare le risorse che disponiamo in larga quantità -per non dire in eccesso- affinché possano essere utilizzate nel modo più efficiente: essere sfruttate in modo tale che possano aumentare il benessere di individui che non ne dispongono. La fonte delle nostre risorse è la conoscenza che, se trasmessa, metterebbe in atto un processo di consapevolezza di quanto abbiamo. Consapevolezza che se, sfruttata al meglio, partendo dal nostro piccolo quotidiano, può aiutare il nostro pianeta a progredire senza lasciare nessuno indietro. Un discorso che può essere fatto circa la sostenibilità ambientale, condivisione, globalizzazione, ma che deve avere un seguito oltre alle parole magnanime spese sull’argomento, senza essere abbandonate come i poveri individui caduti in Bosnia tra la neve poche settimane fa.
Le piccole attenzioni che scarseggiano nel quotidiano, danno vita a un livello di indifferenza su scala mondiale che conduce a una maggiore polarizzazione di quella che è la ricchezza, che vuole avere una accezione più ampia di quelle che sono le mere risorse materiali. Capitale che aumenta più che proporzionalmente negli stati in cui è già più che sufficiente, lasciando sempre più indietro chi invece vive una condizione di arretratezza. Un gap che si allarga con una velocità inarrestabile causando sempre più squilibri e difficoltà tra due mondi che ormai sembrano avere due diverse rotte di collisione.
Non saremo più responsabili della violenza e povertà solo quando, con uno spirito di collaborazione e apertura mentale, ci renderemo conto dei problemi che ancora oggi dilagano nel nostro pianeta e “che non è qualcun altro, più potente di noi, che deve risolverli”.
L’errore più grande che possiamo fare è pensare che i problemi non riguardano noi e che qualcun altro, a differenza nostra, possieda la competenza per risolverli. Invece io vi dico che le grandi azioni partono dal basso e che con un impegno comune, si possono abbattere le costruzioni pensate da Sereni e dare una forma nuova alla sua Amsterdam, cosicché il male perda la sua ciclicità che tanto lo rafforza e rende indistruttibile.
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