Una sfida chiamata Imprenditoria Femminile tra gender investment gap e agevolazioni

Ancora oggi vige un problema di sottorappresentazione femminile tra le occupazioni e posizioni lavorative maggiormente redditizie. Una donna ingegnere, piuttosto che chirurgo o direttrice di banca purtroppo costituisce ancora un’eccezione e in generale all’interno delle aziende le donne sembrano essere “relegate” prevalentemente lontano dai vertici dell’organigramma aziendale, per non parlare delle donne imprenditrici che rappresentano una netta minoranza (in Italia le imprese guidate da donne nel 2021 erano un milione e 342mila, ossia solo il 22% del totale).
In questo articolo si cercherà di analizzare le peculiarità dell’impresa a conduzione femminile e di riflesso la figura dell’imprenditrice in termini di propensione al rischio, aspirazioni, core-business e performance aziendale in modo da comprendere differenze ed affinità con la più “tradizionale” impresa a guida maschile.

Iniziamo col definire cosa si intende per impresa femminile e cerchiamo di delinearne i tratti fondamentali

Si definiscono imprese femminili: “le società cooperative e le società di persone costituite in misura non inferiore al 60% da donne, le società di capitale le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne e dalle imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell’industria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi” (Articolo 2, comma 1, lettera a L.25 Febbraio 1992, n.215).

Si tratta solitamente di imprese di piccole dimensioni, concentrate in settori a non alta intensità di capitale come i servizi o il retail, e che hanno minori aspettative di crescita rapida. Sono imprese che raccolgono meno capitale iniziale e sono finanziate prevalentemente da capitale proprio o della famiglia dell’imprenditrice.

Andiamo ad indagare queste caratteristiche nel dettaglio:

  1. Dimensioni prevalentemente piccole e minori aspettative di crescita

In Italia il 96,7% delle imprese «rosa» ha una dimensione micro, il 3,1% ha una dimensione piccola e solo lo 0,3% medio-grande.

La scelta di lavorare da sole o in piccoli team può essere vista come tentativo di minimizzare rischi e responsabilità derivanti da un maggior numero di dipendenti e conseguentemente da una maggiore dimensione d’impresa. Le donne imprenditrici, infatti, hanno dimostrato di avere una maggiore avversione al rischio rispetto ai colleghi uomini (oltre che un più spiccato interesse a raggiungere un equilibrio tra lavoro e vita privata) prediligendo obiettivi di crescita più lenta e costante piuttosto che concentrarsi su attività in rapida crescita e rischiose (Carranza, Dhakal, & Love, 2018). 

  • Settori a non alta intensità di capitale

Le donne che avviano un’attività imprenditoriale in genere preferiscono settori dominati da donne, come ad esempio salute, benessere, servizi alla persona, nei confronti dei quali hanno esperienza e conoscenze dirette (McCracken, et al., 2015). Tuttavia, questi sono anche i settori meno profittevoli e caratterizzati da performance più modeste.

Fig.1: Dove investono le donne
Fonte: Il Sole 24 Ore, 2020
  • Finanziamento derivante soprattutto da capitale proprio/familiare

L’accesso al capitale di credito, per tutti complesso e spesso oneroso, risulta essere un’alternativa poco attraente per le donne imprenditrici che preferiscono ricorrere a capitale proprio o familiare (vedi Fig.2).

Le imprese femminili, infatti, hanno maggiore probabilità di incorrere nel credit crunch: sul totale dei casi in cui vi è un ricorso al credito bancario per l’8% delle imprese “rosa” il credito erogato non è stato adeguato o la richiesta non è stata accolta, contro il 4% delle imprese in generale (Lab24, Sole 24 Ore). In aggiunta, l’esistenza del gender pay gap può essere vista come un ostacolo all’accesso al credito bancario poiché rende ancora più complicato il possesso di adeguate garanzie collaterali.

Seppure non si sia ancora giunti ad un’evidenza empirica granitica, diversi studi suggeriscono l’esistenza di un gender investment gap cioè un divario di genere nell’ottenere finanziamenti per le nuove imprese. Tra questi troviamo la ricerca condotta da Boston Consulting Group (BCG) intitolata “Why women-owned startups are a better bet” (Abouzahr et al, 2018) che ricollega tale discriminazione di genere alle seguenti motivazioni:

  • Le donne, più degli uomini, devono dimostrare di essere in possesso delle competenze tecniche di base visto che spesso gli investitori presumono che non ne siano in possesso. Al contrario degli uomini, le donne sono però più inclini ad accettare critiche di feedback;
  • In seguito alla loro avversione al rischio e a una minor fiducia in sé stesse, le donne chiedono somme inferiori e presentano business plan più prudenti, mentre gli investitori uomini fanno proiezioni più audaci e chiedono di più;
  • Gli investitori uomini, che sono la maggioranza, hanno poca familiarità con i prodotti e i servizi offerti dalle imprenditrici donne.
Fig. 2: Probabilità di accedere ai finanziamenti necessari per avviare un’impresa in Ue – Imprese femminili e maschili a confronto

L’analisi di tutti questi fattori sembrerebbe spiegherare i risultati del rapporto GEM (Global Entrepreneurship Monitor) secondo il quale solo 1 donna su 13 ha aspirazioni imprenditoriali a differenza degli uomini dove il rapporto è 1 su 5.

Soffermiamoci ora sui risultati economici registrati in media dalle imprese femminili

La maggior parte della ricerca rileva che le imprese di proprietà femminile tendono ad avere prestazioni economiche più deboli, sono meno redditizie e crescono più lentamente (Carranza, Dhakal, & Love, 2018). Questo divario di performance, tuttavia, non è unicamente imputabile alla variabile di genere visti i settori mediamente meno remuneratavi in cui tendono ad operare le imprenditrici.

Dati recenti dimostrano che è possibile superare tale gap investendo in asset intangibili. Di fatti, la stessa ricerca della BCG sopra citata avente ad oggetto start up innovative, e quindi imprese maggiormente propense ad attività di R&S, mostra che tra le startup analizzate quelle fondate da donne, nonostante i minori fondi ottenuti (meno della metà di quelli investiti nelle aziende a proprietà maschile), hanno registrato complessivamente ricavi superiori (+10% rispetto alle startup maschili).

Negli ultimi anni le imprese femminili sono state protagoniste di una notevole crescita (seppur il loro ammontare complessivo sia rimasto esiguo) che si è mantenuta costante per sei anni fino ad interrompersi nel 2020 in seguito alla crisi del Covid. Vediamo quindi alcune iniziative implementate dallo stato per favorirne lo sviluppo.

Esistono diversi provvedimenti a sostegno dell’imprenditoria femminile.

Tra questi, la Legge di Bilancio 2021 ha istituito il Fondo Impresa Femminile avente una dotazione di 20 milioni di euro da elargire per ciascuno degli anni 2021 e 2022 a cui si aggiungono altri 160 milioni di euro provenienti dal PNRR che ha come fine quello di promuovere e sostenere l’avvio e il rafforzamento di imprese femminili attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati.

Altri progetti avviati e rilanciati sono il progetto “Smart&Start Italia che prevede la possibilità di aumentare la percentuale massima di finanziamento di startup innovative costituite interamente da donne (dall’80% al 90%) e il progetto Nuove imprese a tasso zero che concede prestiti agevolati a micro e piccole imprese di recente costituzione composte per oltre la metà numerica dei soci e di quote di partecipazione da donne (o da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni). Così come i bandi Innovazione Sostantivo Femminile o Call4women si propongono di sostenere la nascita e lo sviluppo di idee e progetti imprenditoriali innovativi da parte delle donne.

L’Italia inoltre ha preso parte al piano di azione europeo per l’istruzione digitale tramite l’attuazione della dichiarazione “Women in Digital Declaration” con cui si impegna, tra le altre cose, a creare una strategia nazionale per incoraggiare e supportare la partecipazione delle donne al digitale e stimolare le aziende a combattere la discriminazione di genere sul lavoro. Infine, diversi atenei italiani realizzano campagne di comunicazione per avvicinare le ragazze alle discipline STEM come l’iniziativa “SheTech, un’organizzazione attiva nel panorama tecnologico che ha l’obiettivo di avvicinare il mondo tech a quello femminile.  

Da quanto enunciato si evince chiaramente la fondamentale importanza di iniziative di questo genere volte non solo a lanciare l’imprenditoria femminile ma più in generale a promuovere la partecipazione delle donne (e non solo) all’innovazione e ad avvicinarle alle discipline STEM, fondamentali per la produttività e la crescita del Paese. Per fare ciò i fondi del PNRR risultano inestimabili e rappresentano quindi un’opportunità unica da non perdere.

Altre fonti non citate esplicitamente:

  • Tesi di Laurea Magistrale – “Donne e imprenditorialità: analisi delle startup innovative italiane in prospettiva di genere”, Giulia Serena, Politecnico di Torino (2019/2020)
  • https://lab24.ilsole24ore.com/imprese-femminili-prima-dopo-durante-coronavirus/
  • Tesi di Laurea Donne alla guida di startup innovative. Il Caso Brandon Ferrari”, Lissandri Angela, Universita’ Degli Studi Di Padova (2017/2018), pag.17  

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