Il 27 dicembre 2020 rimarrà per sempre impresso nelle nostre menti.
Verrà ricordato come il V-day (il giorno del vaccino), un avvenimento così importante da essere accostato al quasi omonimo D-day, giorno dello sbarco in Normandia.
Le analogie presenti tra il 2020 e il 1944 sono più nitide di quanto sembrano. Stiamo combattendo una vera e propria guerra mondiale, che coinvolge tutte le nazioni, a prescindere dalla potenza, dal PIL o da altri indici economici e di benessere. Se c’è qualcosa di positivo in tutto ciò è sicuramente l’alleanza tra le nazioni: probabilmente la più grande e forte di sempre. Il virus ha valicato qualsiasi confine, con prepotenza, distruggendo le nostre armi di difesa senza che noi nemmeno ce ne accorgessimo. La paura aleggia tra le strade vuote e senza vita del mondo. I corpi di coloro che non ce l’hanno fatta vengono trasportati dai camion militari e le lacrime scendono impetuose dai visi dei cari.
Ma studiando – o per alcuni vivendo – le guerre del passato ci rendiamo conto di un elemento comune che, come una matita strofinata con forza su un foglio, scolpisce la parola “fine” sulla guerra: la scienza.
Già, va detto che molte volte la scienza ha comportato la distruzione di massa attraverso le sue scoperte e innovazioni, pensiamo ad esempio alle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, ma non questa volta. Questa volta la scienza condurrà alla pace con sensibilità e armonia con un’arma potentissima: il vaccino.
Sebbene porti con sé diversi pareri contrastanti, non si può negare che il vaccino rappresenti oggi un’ancora di salvataggio alla quale con forza ci dobbiamo aggrappare se vogliamo tornare a quella normalità che per molti è ormai quasi dimenticata. Da mesi ne sentiamo parlare e sicuramente una delle domande cruciali alla quale devono rispondere scienziati e politici è: a quale parte della popolazione verrà somministrato prima?
In cima a questa lunga lista troviamo sicuramente gli operatori sanitari: medici, dottori, infermieri di ospedali e delle RSA. A seguire coloro che soffrono di particolari patologie cardiovascolari, immunodepressi, ipertesi… È chiaro che non è affatto facile decidere chi vaccinare prima ma, fin dai primi momenti, è stata scartata l’ipotesi di somministrare le prime dosi ai giovani.
Ora, è vero che non rientrano affatto nella categoria più a rischio, ma iniziare la campagna di vaccinazione proprio dai nostri ragazzi e ragazze potrebbe lanciare un messaggio ben chiaro: ripartiamo dal futuro. Troppo spesso i giovani sono stati dimenticati o dati per scontato negli ultimi mesi, ma loro rappresentano l’unica speranza per il nostro paese di rialzarsi e ripartire con il turbo.
Sotto il profilo economico la vaccinazione dei giovani vorrebbe dire far ripartire prima il mondo dei trasporti, dello sport, dell’istruzione, ma anche quello di cinema, teatri e bar, spesso frequentati dai giovani stessi.
I trasporti sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento svariate volte negli ultimi mesi, finendo sul banco d’accusa per via della mancanza di norme di sicurezza, che hanno causato numerosi contagi. Il giro d’affari nel 2020 è calato del 72%, circa 1,8 miliardi in meno, ed è previsto una perdita di 1,5 miliardi di euro.
Il settore dei bar ha già perso più di 14 miliardi di euro e il 30% delle attività sono a rischio chiusura.
Il cinema conta perdite a più del 50% e il teatro vede un -60% circa d’ingressi agli sportelli.
Per non parlare dello sport: -75% circa della spesa totale.
Insomma, somministrare il vaccino ai giovani non creerebbe solo benefici dal punto di vista sanitario, in quanto essi rappresentano il maggior vettore di contagi per i nostri anziani, ma farebbe ripartire parte dell’economia italiana, già in ginocchio nel periodo pre-pandemia e ancor più in difficoltà negli ultimi mesi. Senza contare l’aspetto psicologico e formativo delle nostre nuove generazioni, che si troveranno a dover affrontare il futuro con lacune sia culturali che in termini di esperienza.
L’ultima parola, come scritto in precedenza, spetta a virologi, scienziati e amministratori. La scelta è tra le più complicate. Ma non possiamo permetterci di lasciare, ancora una volta, i nostri giovani all’ultimo posto.
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