La fotografia nasce nel 1800 e diventa compagna silenziosa della vita di ognuno: prima in bianco e nero, poi a colori, stampata e adesso digitale. La mia generazione ricorda la corsa ad acquistare i rullini per le macchine fotografiche, ricorda un famoso brand contraddistinto dal colore giallo e ricorda anche il dibattito che si scatenò quando una famosa catena di supermercati inizio ad offrire ai propri clienti il servizio di sviluppo e stampa delle fotografie.
Negli anni ci siamo abituati a strumenti diversi per poterle realizzare: le macchine fotografiche, le usa e getta e adesso gli smartphone. Negli anni non solo abbiamo cambiato gli strumenti ma ci siamo abituati rapidamente al progresso tecnologico al punto che oggi gli album fotografici nelle nostre case sono probabilmente racchiusi in armadi o cassetti mentre le foto che giornalmente facciamo sono archiviate sui nostri smartphone o sui nostri PC.
Un cambiamento continuo che ha attraversato due secoli e che oggi vede nella fotografia anche un profondo cambiamento nel significato che la stessa assume. Sempre più la fotografia da strumento silenzioso quasi intimo in grado di immortalare i nostri ricordi – oggi potremmo considerarla quasi una memoria esterna dove archiviamo le nostre emozioni – è divenuta strumento di comunicazione per raccontare non più a noi stessi e alle nuove generazioni, ma agli altri ciò che abbiamo fatto o ancora ciò che stiamo facendo.
La fotografia come strumento di comunicazione in tempo reale, strumento per affermare la nostra esistenza, per esibire momenti della nostra vita: la fotografia come strumento che costantemente con il nostro consenso viola la nostra intimità e la nostra riservatezza oltre talvolta a quella di chi ci è vicino. Quanto sono lontane da noi oggi le immagini fotografiche che immortalavano persone con i vestiti della domenica in posa in bianco e nero.
Ma la fotografia non è solo questo, per fortuna. La fotografia è stata, è e sarà una fonte storica. Uno strumento non di esibizione o di comunicazione, ma uno strumento che in futuro aiuterà le nuove generazioni a studiare e a comprendere i tempi passati. La fotografia come potente strumento di memoria in grado di raccontare, di esprimere e di rappresentare anche attimi fuggenti i momenti importanti per singoli individui spesso non conosciuti o per intere generazioni.
Perché dedicare l’editoriale alla fotografia? Che bisogno c’è? Non so esattamente le ragioni vere che mi hanno guidato nello scrivere questo editoriale, ma so che in queste settimane due eventi mi hanno fatto riflettere sul ruolo che la fotografia ha svolto, ha e svolgerà in futuro.
Il primo evento è la scomparsa di Letizia Battaglia, grande fotografa italiana nata e vissuta in Sicilia: la Regione che ha saputo raccontare con il proprio lavoro, con il proprio sguardo dietro la macchina fotografica e che oggi lascia a tutti noi.
Il secondo evento è una fotografia che ho rivisto dopo moltissimi anni alla televisione in occasione della presentazione dell’ultimo film di Marco Bellocchio al Festival di Cannes. La foto a cui faccio riferimento rappresenta l’On. Aldo Moro al mare seduto su una sdraio a riva. Di per sé la foto non dovrebbe avere alcun valore particolare rappresentando un momento della vita privata di un politico italiano. Invero, quella foto esprime moltissimo di quel politico italiano e probabilmente di quella generazione di uomini e di donne che hanno rappresentato il nostro Paese: l’On. Aldo Moro, infatti, sulla spiaggia con la figlia seduto su una sdraio è vestito non in costume, ma con un abito intero, una camicia e la cravatta.
Come non guardare quindi quella foto non per quello che rappresenta ma per ciò che racconta di un momento storico del nostro Paese e di una generazione che ha fatto la storia del nostro Paese. Come non poter riflettere su quanto siamo cambiati. Eppure, non sono passati due secoli, ma solo qualche decennio.
Come sempre quando si tende – talvolta con nostalgia – a riflettere sui cambiamenti dobbiamo astenerci dall’esprimere giudici o dal fare valutazione: lascio ad ognuno il tempo necessario per guardare quella fotografia e pensare a quanto la stessa ci sta raccontando anche di noi stessi.
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