Moussa Balde. Si chiamava così il ragazzo di 23 anni, proveniente dalla Guinea, che si è tolto la vita a fine maggio 2021 in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Torino. Balde aveva subito una violenta aggressione a Ventimiglia qualche settimana prima, per presunto tentativo di furto di un cellulare, e il fatto era stato filmato e pubblicato su Facebook: tre uomini armati di spranghe, bastoni e tubi dell’acqua hanno rincorso e picchiato il ragazzo, scagliandosi su di lui anche quando ormai era a terra. Dopo essere stato portato all’ospedale di Bordighera per dei controlli, nonostante le lesioni e il trauma facciale Balde è stato dimesso e rimandato nel Cpr, dove è stato messo in isolamento fiduciario per “motivi di salute”. Sarebbe stato espulso dall’Italia a breve in quanto migrante irregolare, a causa del suo permesso di soggiorno scaduto. Secondo il suo avvocato, le sue condizioni psicologiche erano molto preoccupanti e Balde voleva uscire al più presto dall’isolamento, ma ciò non è avvenuto in tempo: il ragazzo si è impiccato con le lenzuola del letto.
La tragica storia di Moussa Balde ha riacceso pesanti interrogativi sulle condizioni di vita nei Cpr. Noti in precedenza come Centri di permanenza temporanea (Cpt) e poi come Centri di identificazione ed espulsione (Cie), i Cpr fanno parte della rete di strutture usate per identificare e deportare dal territorio italiano i “migranti irregolari” – coloro che giungono in un Paese senza documenti o con documenti falsi o che, non avendo avuto la possibilità di rinnovare i loro documenti regolari, perdono il diritto a rimanere nel Paese ospite.
Quando le strutture sono state create nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, la reclusione delle persone straniere da identificare o in attesa di espulsione poteva durare al massimo 30 giorni, ma da allora è stata allungata e può durare diversi mesi. La situazione all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio disseminati in tutta Italia è sempre più grave, come testimoniato dal Garante nazionale per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale nel rapporto pubblicato dopo un anno di monitoraggio (2019-2020). Nei Cpr mancano un adeguato sostegno sanitario e assistenza medica, gli standard abitativi ed igienici sono insufficienti, docce e bagni sono senza porte e non funzionanti, così come il riscaldamento; i telefoni sono sequestrati, la polizia è sistematicamente presente durante le visite mediche e le denunce di violenza sono numerosissime; i minori vengono detenuti insieme agli adulti, non ci sono mediatori, capita che non venga garantito il diritto alla difesa e manca trasparenza nel negare accessi a giornalisti esterni. Ai migranti non è permessa alcuna attività, se non quella di rimanere in attesa dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione. Il Garante definisce i CPR “involucri vuoti”, dove il migrante smette di essere persona con una dignità umana da preservare, per essere ridotta a corpo da trattenere e confinare. Isolate dalla società e private della loro libertà personale, queste persone sono sprovviste delle tutele riservate ai detenuti del sistema carcerario, con ovvie conseguenze: crolli psicologici, tentati suicidi, morti dichiarate naturali, su cui nessuno indaga o riesce a farlo.
Il governo ha recentemente deciso di aumentare i rimpatri e quindi le capacità ricettive dei Cpr, nonostante l’evidente drammaticità di questi luoghi e la loro dubbia utilità: in linea con le precedenti annualità, anche nel 2019 meno del 50% delle persone trattenute sono state effettivamente rimpatriate. La detenzione amministrativa assume così i tratti di un “meccanismo di marginalità sociale e confino di persone che le autorità non intendono includere, ma che al tempo stesso non riescono nemmeno ad allontanare”, sottolinea il rapporto del Garante.
Nel 2011 e nel 2016 la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che un cittadino straniero entrato in modo irregolare nell’UE non può essere detenuto per il solo fatto di non avere i documenti, a meno che non sia stato già sottoposto a procedura di rimpatrio, ma noi deteniamo proprio in attesa di tale procedura, nonostante anche la nostra stessa costituzione dica, all’articolo 13, che “non è ammessa forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione alla libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria”. I Cpr appaiono quindi come dei veri e propri buchi neri della democrazia italiana e le tragedie che si consumano al loro interno, a pochi chilometri dalle nostre case, rimangono completamente invisibili, lontane dai riflettori dei mass media e dall’opinione pubblica.
Questi racconti, così come molti altri in tema di immigrazione e asilo, sono spesso ignorati. Si preferisce non ascoltare o non riconoscere l’esistenza di queste storie nel nostro Paese, che come il resto d’Europa rivendica con orgoglio elevati standard di civiltà e rispetto dei diritti fondamentali. Quella a cui siamo sempre più spesso di fronte è un’indifferenza agghiacciante, così come altrettanto allarmante è il ritorno di simboli di ostilità e segregazione lungo i confini europei, segnati da militarizzazione, detenzione, deportazioni, muri e fili spinati, che non possono che farci tornare alla mente gli orrori dei più potenti regimi totalitari del passato. Papa Francesco Bergoglio nel 2013 parlò di “globalizzazione dell’indifferenza”: uno stato di anestesia collettiva per cui nessuno si sente responsabile per quello che avviene alle frontiere e all’interno d’Europa, un’accettazione paralizzata e passiva del male.
Di fronte alle tragedie che si consumano quotidianamente lungo i confini e dentro al nostro stesso Paese e, ancor di più, di fronte a questa insensibilità collettiva dilagante, l’unico “potere” che al momento possiedo è quello di compiere una scelta su ciò che ritengo debba circolare e diventare sapere condiviso nella sfera pubblica: così come si può incentivare il silenzio, allo stesso modo si può stimolare un’attenzione vigile e uno sguardo autocritico. Senza inoltre dimenticare che è in primo luogo nelle relazioni personali quotidiane che si può scegliere di dissociarsi da logiche di umiliazione, per costruire spazi di ascolto, rispetto e riconoscimento dell’altro.
Fonti:
Migranti, in che stato sono i Cpr in Italia? (22 gennaio 2020). Open. https://www.open.online/2020/01/22/immigrazione-in-che-stato-sono-i-cpr-in-italia/
M. Palma. Rapporto sulle visite effettuate nei Centri di permanenza per i rimpatri 2019-2020 (9 marzo 2021).
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