takelocal, la start up del delivery sostenibile

L’ Imprenditoriale scopre takelocal, la prima food-community di quartiere creata dai ristoratori.

8 marzo 2022, ricorrenza annuale della Festa della Donna. Oggi, anziché proporvi qualche riflessione che sfocia nel classico cliché, vi presento una vera Lei e il suo gioiellino: la start up di cui è fondatrice.

Questa Lei si chiama Serena Bonetti e la sua start up è takelocal.

Chi è la nostra Lei?

La nostra Lei è un’esperta di marketing e comunicazione con un curriculum d’oro nel settore del food and beverage:

brand manager per Nestlé, Marketing Manager per il gruppo Campari e ha contribuito a dare vita ad una Vodka Siciliana “Vulcanica”.

Ve l’assicuro: una donna esplosiva, il nome della vodka è azzeccatissimo anche per la nostra Lei. La sua esperienza ed intraprendenza l’ha portata, quasi senza volerlo, a fornire consulenze e consigli in un mondo tanto variegato quanto complesso come quello della ristorazione.

E allora? Takelocal cos’è e come è nata?

Le consulenze prestate al mondo della ristorazione, avevano un tema ricorrente e particolarmente problematico: la gestione del food delivery. Il delivery, mi racconta Serena, è un servizio, proposto inizialmente da multinazionali straniere, a cui la ristorazione italiana si è adattata male. Questo si presenta come strumento “facile” con cui un ristoratore può incrementare il suo guadagno, ma, in realtà, dietro un velo di comodità e modernità, potrebbe arrivare a strozzare la ristorazione sia dal punto di vista della sostenibilità economica che della comunicazione con il cliente. 

Con questa modalità di consegna a domicilio si tende a perdere totalmente la comunicazione con il cliente, perdendo proprio traccia di quel fascino che il mondo della ristorazione ha sempre portato con sé nel fornire un’esperienza esclusiva al cliente.

Takelocal nasce così intorno ad un tavolo, attorno al quale Serena ha invitato imprenditori e professionisti per dare vita ad un delivery sostenibile.

Takelocal, la community del quartiere

Se da una parte il delivery a cui siamo abituati interferisce e distorce l’experience che il ristoratore cerca di creare a beneficio del consumatore, dall’altra parte non è facile per un ristoratore creare per la propria attività uno strumento ad hoc: avere un sito web e applicazione proprietari possono diventare scomodi sia un punto di vista logistico che di comunicazione, è evidente che esiste una convenienza nell’esternalizzare parte dell’attività legata al delivery e alla comunicazione.

Takelocal prima di essere lo strumento per portare i prodotti a casa tua, è una community pensata per i ristoratori. È un sistema molto flessibile che permette ai ristoratori di cooperare tra di loro e ottenere dei benefici come l’ottimizzazione dei costi. Takelocal nel suo essere ibrido ed elastico, funziona come un e-commerce: il gestore possiede un proprio link, che può diffondere facilmente tra i clienti sui propri canali social, che riconduce al sito e ai prodotti ordinabili.

Il bello della community – mi racconta Serena – è la sostenibilità che la caratterizza. La sostenibilità per un ristoratore è il poter vendere ad un prezzo corretto il proprio prodotto, senza che per produrre dei ricavi sia necessario risparmiare sulla qualità o scegliere sul packaging ritardando dunque l’adozione di materiali ecosostenibili. Takelocal vuole essere la chiave di volta – digitale – necessaria per rendere il delivery un servizio ben gestito e sostenibile. Con la community viene così a configurarsi un modello che si va a plasmare sulle necessità ed esigenze dei vari consumatori e che al contempo vuole offrire una vasta gamma di prodotti al consumatore finale. Al consumatore la web-app offre ad esempio l’engagement della food roulette: ai clienti appaiono casualmente una serie di prodotti che potrebbero soddisfare il loro palato.

Il quartiere

Takelocal cerca di semplificare la gestione di un sistema complesso – la città – dividendola in tante zone che sono la base della cooperazione stessa dei ristoratori: il quartiere. 

Il quartiere è il cuore della community: ristoratori si uniscono geograficamente e questo li porta a potersi organizzare in modo vantaggioso. Un esempio è la gestione dei rider: “oltre a organizzare una flotta di quartiere – mi spiega Serena – facciamo in modo che in base alla richiesta ci sia un numero di rider giusto che possa agire nel raggio di 2,5 km e coprire tutto il quartiere. Anche questa è sostenibilità: non chiamare riders di troppo né portarne allo sfinimento pochi in serate particolari come quelle del weekend. Takelocal lavora con dei partner che si occupano di mobilità e cerchiamo di far inserire nei quartieri un numero corretto di rider.”

Educare al delivery

Come abbiamo già detto il delivery è un modello a cui il mondo italiano della ristorazione si è adattato male. Manca tuttavia anche una consapevolezza del consumatore riguardo a tutto quello che opera intorno al prodotto: la sua produzione, a seguire la sua consegna da parte di un terzo e tutta una serie di passaggi che dal consumatore vengono ignorati. È certamente fondamentale educare i ristoratori ad essere più precisi, ma anche il consumatore a cosa succede dietro le quinte.

E per il futuro?

Serena sta già partendo con un progetto su Monza con l’obiettivo di arrivare in 30 città italiane nel giro di pochi anni. Bisogna incentivare alla cultura: alla nostra e al Made In Italy.

Serena e la sua realtà è un exemplum da tenere ben presente: una persona giovane che, prendendo spunto da realtà già esistenti, prova a crearne un’altra apportando dei miglioramenti nel campo della sostenibilità, comunicazione e collaborazione tra impresa, con il fine di migliorare la qualità del prodotto che si gusta senza perdere di vista chi lavora per crearlo.

Grazie Serena,

ad maiora.

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