L’ospite di questa intervista de L’imprenditoriale è Chiara Bacilieri: esperta di psicologia applicata al marketing e ai comportamenti organizzativi. Manager, docente, speaker e appassionata di ricerca e innovazione sul futuro del marketing e del lavoro.
Head of Research & Innovation di Lifeed, l’azienda EdTech a impatto sociale che crea soluzioni innovative per lo sviluppo del capitale umano. È Docente a contratto di Consumer Behavior per il Master in International Marketing Management presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2021 è nominata da Forbes tra i 100 giovani under 30 più influenti d’Italia e leader del futuro, e tra i 5 nel marketing.
Quando ci siamo conosciuti mi aveva molto colpito che con la tua storia riesci a tenere insieme in modo estremamente coerente dei mondi che ci vengono raccontati come apparentemente distanti: Ci racconti un po’ di te e del tuo percorso di crescita?
Ho studiato psicologia e nasco come esperta di psicologia applicata al marketing: mi sono focalizzata sull’applicazione dei principi psicologici alle tecniche di marketing ovvero su come rendere la comunicazione più efficace e persuasiva, intercettando dei meccanismi psicologici che ci accomunano.
Prima mi occupavo di neuromarketing aiutando le aziende a conoscere meglio i propri clienti per personalizzare la comunicazione e per migliorare le loro capacità di vendita poi, durante il periodo del Covid-19, ho incontrato Riccarda Zezza (CEO di LIFEED) che mi ha proposto di occuparmi dello stesso lavoro (analizzare i dati da una prospettiva psicologica), ma per un nuovo scopo: aiutare le aziende a conoscere meglio i propri collaboratori per valorizzare ciò che sono fuori dall’ambiente lavorativo e per renderli più motivati e partecipi.
Così, anche dopo essere stata nominata da Forbes tra i professionisti del marketing nel 2021, mi sono spostata nel mondo delle risorse umane quindi in un ambito più legato alla formazione e all’apprendimento.
Sento di essere una figura professionale generalista, che non ha sviluppato una conoscenza approfondita solo su un ambito specifico, ma che conosce un po’ di diversi ambiti e che è capace di collegare punti generando valore proprio nella connessione di elementi diversi.
Spesso siamo portati a vedere il mondo del lavoro come diametralmente opposto alla vita personale, invece la realtà in cui sei impegnata si propone di fare esattamente l’opposto unendo queste prospettive: Cos’è LIFEED e cos’è il metodo Life Based Learning?
LIFEED sta per Life feeds education e nasce da un’azienda che si chiamava MAAM (Maternity As A Master) ispirata dall’idea della fondatrice Riccarda Zezza che si è resa conto di quanto la maternità, esperienza che viene considerata un ostacolo nel il mondo del lavoro, sia stata invece l’occasione nella quale lei stessa è riuscita a sviluppare una serie di competenze soft, che sono le stesse competenze che vengono ricercate nel mondo del lavoro e valorizzate dalle aziende.
Di qui sorge l’interrogativo spontaneo: “Perché devo essere discriminata per il mio ruolo personale di mamma, quando proprio l’essere madre mi sta aiutando a sviluppare delle competenze utilissime?”.
Estendendo questo interrogativo anche oltre la dimensione della genitorialità si intuisce come tutto ciò che siamo al di fuori della nostra vita lavorativa, che nella visione dicotomica di cui parlavi noi tendiamo a vedere in contrasto con il lavoro, in realtà rappresenta una grande risorsa per vita professionale, in termini di risorse, competenze, motivazioni ed energie. Si tratta di cambiare la prospettiva da una visione di ruoli in conflitto a ruoli che si arricchiscono a vicenda.
Sulla base di questo LIFEED ha creato una piattaforma che eroga percorsi di formazione con il metodo Life-Based. Questo approccio aiuta le persone a riconoscere e utilizzare sul lavoro tutte le competenze sviluppate nei ruoli personali, con una particolare attenzione a quei ruoli che sono ancora oggi oggetto di stereotipi e che definiscono delle minoranze sociali.
(approfondisci la realtà di LIFEED qui: https://lifeed.io/)
In tutto questo che ruolo hanno i dati?
I dati hanno un ruolo chiave perché durante il percorso di formazione le persone generano tanti dati, sia dai loro comportamenti, sia dalle riflessioni che vengono sviluppate nelle auto-narrazioni. Questi dati, che sono dati complessi e che devono essere analizzati con tecniche quali-quantitative, ci consentono di misurare quante e quali competenze le persone hanno maturato nella loro vita personale. Tutti questi dati vengono poi restituiti alle persone e alle aziende sotto forma di report e questa è la parte su cui sono più focalizzata perché grazie a questa restituzione possiamo dimostrare alle aziende, e alla società in generale, che in tutte queste aree di vita, che spesso sono non viste o addirittura sono ostacolate nel mondo del lavoro, vengono stimolate delle competenze importanti per il mondo del lavoro.
(approfondisci il metodo Life Based usato da LIFEED: https://lifeed.io/innovazione/people-analytics)
È molto interessante questo processo di auto-consapevolezza sia delle singole persone, sia delle realtà aziendali a valorizzare le persone nella loro interezza. A tal proposito provo a lanciarti una provocazione: Nella società di oggi c’è effettivamente spazio per un’idea di individuo inteso come lo abbiamo inteso fin qui o ci sono ancora delle resistenze?
È una bella domanda perché la consapevolezza è qualcosa che va oltre il semplice sapere: significa interiorizzare una conoscenza rendendola coerente con dei valori che poi ci portano ad agire nella direzione del progresso. Credo che sia più facile generare consapevolezza sulle singole persone piuttosto che generare una consapevolezza collettiva che porti poi ad un agire collettivo verso il progresso.
Ti faccio un esempio parlando di gender-gap: non è sufficiente sapere che le donne che ricoprono ruoli dirigenziali sono una percentuale estremamente più bassa rispetto agli uomini o che a parità di ruolo le donne guadagnano meno degli uomini, occorre che questa conoscenza si intrecci con un sistema valoriale che vada nella direzione di un’azione e qui sta la parte complessa, e dunque la resistenza, perché ogni cambiamento sociale parte dalla consapevolezza.
Il marketing così come le aziende, che hanno gli strumenti per poter generare cambiamento, dovrebbero fare qualcosa per andare verso un’azione.
Devono. Quando ho “lasciato” il settore del marketing non volevo abbandonare il marketing di per sé (cosa che alla fine non ho fatto), ma un certo modo di intendere e di usare il marketing che era sempre orientato verso l’aspetto persuasivo volto ad aumentare il profitto delle aziende e non sul generare un beneficio sulle persone.
Nel 2019 ho partecipato ad un TEDx parlando di neuro-marketing e in quell’occasione ho scelto di riflettere sull’aspetto etico legato al marketing facendo l’esempio di due spot pubblicitari in ambito beauty che avevano entrambi lo scopo di vendere un prodotto, ma che arrivano all’obiettivo con due modalità comunicative molto diverse: uno facendo leva sul senso di inadeguatezza, l’altro facendo leva sul senso di benessere e autostima.
Questo per dire che il marketing ha una responsabilità sociale molto importante perché da lì derivano tantissimi informazioni e stimoli che hanno un forte impatto psicologico su di noi e che dovrebbero essere orientati a promuovere benessere.
Restando sul tema della responsabilità sociale quali sono secondo te gli ostacoli maggiori per poter introdurre un cambiamento nel mondo del marketing, così come in quello della formazione e delle aziende per poter far sì che ci sia un’effettiva azione responsabile?
Io credo che in questi casi ci sia sempre un problema culturale che richiede un cambiamento nei confronti di questi temi.
Fortunatamente siamo in un periodo storico in cui si parla dell’importanza di certe tematiche, in cui sono state introdotte una serie di normative che portano le aziende ad andare verso direzioni sostenibili, (pensiamo alla necessità di rendicontare l’impegno sull’ impatto sociale e sul raggiungimento degli Sustainable Developement Goals) e tutto ciò rende il green washing e il people washing sempre meno facili da mettere in atto, perché si richiede sempre di più di passare dalle parole alle azioni.
È chiaro però che esistono ancora delle resistenze di carattere culturale su cui bisognerebbe lavorare.
(Scopri i Sustainable Developement Goals: https://sdgs.un.org/goals)
Tornando alla tua storia personale, se potessi parlare con la Chiara Bacilieri ventenne cosa le vorresti dire?
Le consiglierei di godersi di più la vita universitaria che mi avrebbe arricchita tantissimo.
Le direi di non non aver paura di emozioni come la paura o come la rabbia che possiamo provare nel nostro percorso di studio o di lavoro. Proprio la paura di non saper cosa fare in una situazione di lavoro mi ha portato a chiedere aiuto ad un docente che poi mi ha chiesto di andare ad insegnare con lui in Cattolica.
Tutte le emozioni sono utili, anche quelle che chiamiamo “negative”.
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