Non chiamatelo bilancio

Una riflessione sul bilancio di sostenibilità: è corretto definirlo bilancio?

È da poco passato il 31-12 ed è tempo di bilanci; negli ultimi anni sempre più aziende affiancano, o per scelta o per obbligo di legge, al bilancio d’esercizio il bilancio di sostenibilità, un rendiconto che fornisce informazioni di tipo quantitativo e qualitativo sull’attività dell’impresa, in relazione alle funzioni e all’impatto che questa ha sull’ambiente esterno sia per quanto riguarda la sfera ambientale, che per quella sociale, supportate da dati sulla sostenibilità economica del business.

Ma possiamo effettivamente parlare di bilancio?
La ragioniera che sta scrivendo quest’articolo ritiene che la risposta a questo quesito sia no, dunque perché definirlo come tale?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

In generale quando si parla di bilancio ci si riferisce ad una valutazione provvisoria, o definitiva in cui si analizzano i pro e i contro di una situazione; per l’economia aziendale il bilancio d’esercizio è un documento di rilevazione contabile, output della contabilità generale, il quale nasce nel rispetto dei principi contabili e dei criteri di valutazione costanti nel tempo e si compone di documenti obbligatori: Stato Patrimoniale, Conto Economico, redatti nel rispetto degli schemi dettati dal Codice civile, Nota Integrativa, Rendiconto finanziario e della Relazione sulla gestione.

Analizziamo ora il bilancio di sostenibilità, definito in precedenza, il quale però presenta dal mio punto di vista delle criticità: le aziende decidono se redigerlo o meno, quando lo fanno, scelgono quali dati inserire e se compararli nel tempo, aspetti che compromettono la possibilità di effettuare considerazioni puntuali. Anche volendolo ricondurre alla definizione generale, non possiamo comunque parlare di bilancio visto che presumibilmente vengono inseriti all’interno di questo report soltanto i pro, gli aspetti positivi, non essendo obbligati ad inserire anche i contro. La mancanza di regole comuni per la redazione di questo documento, che dovrebbe o potrebbe diventare, a seconda delle interpretazioni, parte del sistema informativo di bilancio, lo riducono ad un mero strumento di marketing che assolve soltanto l’obiettivo di comunicare agli stakeholders ciò che più fa comodo a chi lo redige.

Nonostante le criticità è però fondamentale proporre soluzioni per rendere la comunicazione delle informazioni sulla sostenibilità più efficace e veritiera.

Ricordiamo però la responsabilità delle aziende nei confronti dell’ambiente che le ospita: la loro presenza su un determinato territorio influisce in maniera positiva o negativa sulle condizioni di quest’ultimo, dunque, non si può prescindere dal comunicarlo.

In questo contesto dovrebbe intervenire lo Stato come moderatore tra gli interessi degli stakeholders esterni e quelli dell’impresa, e potrebbe farlo attraverso l’inserimento di un report con schema obbligatorio all’interno del bilancio d’esercizio, in modo che sia il mercato a scegliere le “sorti” delle varie aziende.

È necessario però:

  •  educare il consumatore, attore principale degli scambi, a scelte consapevoli, insegnando lettura del documento;
  •  agevolare chi ha un minor impatto ambientale e/o apporta un maggior contributo alla comunità.

Resta ora da capire come strutturare e cosa inserire in questo ipotetico documento.

Una soluzione, almeno per quanto riguarda il contesto ambientale, potrebbe essere la redazione di una sorta di lettera B) del conto economico che riporti le emissioni di CO2 generate per effetto della produzione durante l’esercizio comparandole con l’anno precedente.

A questo punto però nascerebbero una serie di problematiche simil-contabili, ad esempio, la competenza “economica” delle emissioni derivanti dall’utilizzo durante un esercizio di prodotti semilavorati risalenti all’esercizio precedente, oppure l’acquisto di servizi con diversa competenza economica su più periodi amministrativi.

Come si potrebbe poi effettivamente determinare il reale impatto che questi hanno sull’ambiente?

Bisognerebbe fare una stima, ma saremmo nuovamente al punto di partenza, in quanto le autovalutazioni, quando fatte senza seguire regole ben precise, costanti nel tempo ed uguali per tutti, rendono i dati tutt’altro che certi, oggettivi ed analizzabili.

Con un decreto del 4 luglio 2019 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali però forniva chiarimenti sulle linee guida per la redazione del bilancio sociale degli enti del terzo settore, cioè in linea di massima per le organizzazioni come quelle di volontariato, associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, cooperative sociali etc, che sono obbligate a presentarlo.

Ma all’interno del decreto si parla solo della sfera sociale e non viene fornito nessuno schema, inoltre il punto che dovrebbe essere centrale, quello degli obiettivi ed attività svolte dall’ente, viene liquidato con un generale: “… informazioni qualitative e quantitative sulle azioni realizzate nelle diverse aree di attività…”.

Anche Confindustria è intervenuta venendo in contro soprattutto alle PMI che scelgono di redigere una rendicontazione non finanziaria, attraverso la pubblicazione delle linee guida per la rendicontazione di sostenibilità per le PMI, guida all’interno della quale si possono trovare anche allegati che aiutano nell’autovalutazione individuando 8 macroaree: governance e compliance, performance economica, economia circolare, gestione ambientale, persone, rapporti di lavoro e diversità, responsabilità verso i clienti, fornitori e catena di fornitura, comunità locale e territorio.

Dal 2024 però la rendicontazione di sostenibilità diventerà obbligatoria per le imprese con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore a 50 milioni di euro e un bilancio annuo superiore ai 43 milioni di euro, grazie alla direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) dell’Unione Europea adottata nel 2021, la quale coinvolgerà in Italia 6000 PMI.

Obiettivo della direttiva è quello di colmare carenze legislative che riguardano la diffusione delle informazioni non finanziarie, ma anche quello di garantire maggior trasparenza prevedendo la revisione dei dati e processi di certificazioni indipendenti.

In conclusione dunque è fondamentale rendere obbligatorio l’inserimento nel bilancio d’esercizio di un rapporto che veda l’applicazione degli stessi principi di valutazione e lo studio degli stessi aggregati/indici e che le macroaree individuate da Confindustria pogano l’attenzione sui giusti aspetti, dunque perché non ripartire da qui?

Fonti e spunti:

Boni P., Ghigini P., Robecchi C., (2019), Master in Economia aziendale, Mondadori education

https://dizionari.repubblica.it/Italiano/B/bilancio.html

https://www.csvlombardia.it/wp-content/uploads/2018/06/1_VERSIONE_STAMPABILE_ETS_definitivo_pag_singola.pdf

https://www.confindustria.it/wcm/connect/12ec5e6e-e991-4fad-a687-5bd1e50d730d/Linee+guida+Informazioni+non+finanziarie_Confindustria_maggio+2020.pdf?MOD=AJPERES&CONVERT_TO=url&CACHEID=ROOTWORKSPACE-12ec5e6e-e991-4fad-a687-5bd1e50d730d-n8Nk4lx

https://www.nomisma.it/bilancio-di-sostenibilita-cosa-e-obbligo-di-legge/#

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