Emergenza climatica: basta con le parole, è il momento di agire

Nel mese di novembre, a Glasgow, si terrà la 26esima Conferenza delle Parti (COP26), che riunirà i governi di tutto il mondo per trovare un piano d’azione concreto e coordinato al fine di affrontare il cambiamento climatico.

Settembre è arrivato. Sembra ieri il giorno in cui sono arrivate per alcuni le ferie, per altri la fine della scuola o della sessione estiva, eppure l’estate 2021 si sta già per concludere. Un’estate che nel nostro Paese verrà ricordata da molti con un sorriso fiero e soddisfatto, ripensando alle grandi imprese sportive che l’hanno contraddistinta: pensiamo, ad esempio, alla vittoria azzurra agli Europei di calcio e di volley femminile o al ricco medagliere italiano nei Giochi olimpici e paralimpici di Tokyo. Ma ripercorrendo mentalmente tutto ciò che è accaduto quest’estate con più attenzione ed uno sguardo critico, il sorriso di tutti noi dovrebbe incrinarsi almeno un po’. Perché è stata indubbiamente un’estate da record, ma non solo in senso positivo.

Il record negativo a cui mi riferisco non è fortunatamente legato al numero di contagi o di morti da Covid19, ma a qualcosa di altrettanto impattante sulle nostre vite: l’emergenza climatica. Mai come quest’estate la crisi climatica ha fatto sentire concretamente e con così tanta forza i suoi effetti. Anche chi fino ad ora si era sempre rifiutato di prendere sul serio questo tema, quest’estate non avrà potuto fare a meno di notare la gravità della situazione che stiamo vivendo: semplicemente impossibile volgere lo sguardo altrove, perché i disastri climatici hanno riguardato ogni parte del globo. I fenomeni climatici estremi sono diventati ormai parte del nostro presente, come testimoniato da diversi eventi accaduti negli ultimi due mesi. Per aiutare a fare mente locale, qui ne citerò solamente alcuni:

  • In Canada, a fine giugno, il piccolo villaggio di Lytton nella Columbia Britannica è stato distrutto in meno di quindici minuti dalle fiamme, alimentate da vento e siccità. Nei giorni precedenti la zona era stata travolta da un’ondata di caldo record, con temperature tra i 46 e i 49 gradi Celsius per ben 72 ore consecutive, rispetto ad una media estiva pari a 20 gradi, causando centinaia di decessi in più rispetto alle cifre registrate in passato nel medesimo periodo, proprio per cause connesse al calore asfissiante. Gli abitanti di Lytton sono stati costretti ad evacuare la zona e hanno perso quasi tutti i loro averi. Luglio 2021 è stato sinora il mese più caldo della storia: le temperature anomale hanno interessato anche il nord Africa, la Penisola arabica, l’Europa orientale, l’Iran e il nord-ovest del continente indiano.
  • Anche agosto non è stato da meno: il mese che si è appena concluso è iniziato con la temperatura più alta mai registrata in Europa, 48,8 gradi Celsius rilevati a Floridia, in provincia di Siracusa. Le condizioni metereologiche estreme, causate dall’emergenza climatica, predispongono sempre più la vegetazione a bruciare, e abbiamo potuto constatare questa tremenda verità proprio con i nostri occhi: gli incendi hanno smesso solo recentemente di tenere in ginocchio le regioni italiane del centro-sud, in prima linea Sicilia, Sardegna e Calabria. Le fiamme hanno colpito anche altre aree del globo: Grecia, Algeria, Amazzonia e Siberia.
  • Non solo fuoco, ma anche acqua: a luglio devastanti inondazioni hanno causato centinaia di vittime in Belgio, Germania e Austria. Inoltre, per la prima volta nella storia, a metà agosto la vetta più alta della Groenlandia, 3.216 metri di altezza, è stata bagnata da piogge e non neve (il che provoca serie conseguenze, in quanto l’acqua liquida, più calda, contribuisce allo scioglimento superficiale del ghiaccio). Ancora una volta, anche l’Italia è stata interessata da questi fenomeni, con alluvioni ed esondazioni in tutta la penisola, soprattutto al centro-nord.
  • Infine una notizia ancora più recente: l’uragano Ida ha colpito il nord-est degli Stati Uniti tra fine agosto e inizio settembre provocando danni immensi, tra cui morti, inondazioni, allagamenti e un milione di persone lasciate senza elettricità. Come ha spiegato il climatologo Antonello Pasini, negli ultimi anni gli uragani sono diventati sempre più violenti e hanno rallentato la loro velocità di spostamento, cioè “si fermano più tempo a flagellare i territori, prima di spegnersi”.

E la lista potrebbe proseguire. Nessuno può dirsi al sicuro e sempre più aree del mondo sono esposte a calamità naturali: nel 2016 la piccola nazione insulare polinesiana di Tuvalu è stata il primo stato a chiedere all’ONU il riconoscimento formale dello status di “rifugiato climatico”, una protezione legale per le persone sfollate a causa di disastri e cambiamenti climatici; uno status che oggi non esiste ancora per legge, anche se le persone costrette ad abbandonare i loro territori per via degli stravolgimenti climatici sono sempre di più e il numero è solo destinato a crescere.

Non chiamiamolo maltempo. Gli shock climatici dell’estate 2021 non sono stati dettati dal caso, ma sono il risultato delle nostre azioni. Settembre è arrivato, il tempo è passato velocemente, ma noi non ci stiamo muovendo con altrettanta rapidità per rispondere adeguatamente ad un’emergenza come questa. Il momento per un’azione concreta e incisiva potrebbe però essere finalmente dietro l’angolo: nel mese di novembre, a Glasgow, si terrà la 26esima Conferenza delle Parti (COP26), un appuntamento che vedrà riuniti i governi di tutto il mondo per trovare un piano d’azione concreto e coordinato al fine di affrontare il cambiamento climatico. Un evento che arriva con un anno di ritardo a causa della pandemia, fondamentale perché punta a vincolare i partecipanti affinché le promesse si trasformino in obblighi. Tra gli obiettivi di COP26 vi è non solo l’elaborazione di strategie per raggiungere il traguardo delle emissioni zero entro il 2050, ma anche l’introduzione di sanzioni per gli Stati che non rispettano l’Accordo di Parigi (adottato alla COP21 nel 2015).

Lo stiamo vedendo con i nostri occhi e lo stiamo vivendo sulla nostra pelle: le parole non bastano e non servono. Questo evento può, e deve, segnare un momento di svolta nella lotta contro il cambiamento climatico. È giunta l’ora di porre fine ad azioni timide e insufficienti per salvare il nostro futuro. Non possiamo più aspettare.

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