Esattamente un anno fa iniziava un periodo che prima mai nessuno avrebbe immaginato: nei primi giorni di marzo, infatti, abbiamo realizzato che il lock-down sarebbe diventato una realtà e che saremmo stati costretti a riorganizzare le nostre vite stando completamente in casa. Abbiamo rivoluzionato le nostre routine, vivendo anche gli spazi della nostra abitazione in modo differente: mangiando in camera, allenandoci davanti alla scrivania, facendo un’importante chiamata di lavoro in bagno. In questi mesi abbiamo dato un significato completamente diverso a questo luogo caricandolo di dinamiche, aspettative ed esigenze che prima non gli competevano e che hanno dovuto intrecciarsi con quelle che già esistevano. Così abbiamo iniziato a vedere la necessità di fare ulteriori cambiamenti: spostare quel mobile ingombrante dall’altro lato della stanza, ridipingere quella parete o comprare una nuova poltrona dando vita ad uno spazio rinnovato.
L’esigenza di riorganizzare gli ambienti, che abbiamo sperimentato nelle nostre case in modo così evidente negli scorsi mesi, è in realtà qualcosa che ha sempre fatto parte delle nostre vite e che ci ha sempre contraddistinto come specie: siamo sempre stati in grado di riadattare l’ambiente circostante in funzione delle nostre esigenze per garantire la nostra sopravvivenza. Questo processo di adattamento e contemporanea trasformazione degli spazi è alla base del nostro vivere in città: quella seconda casa che durante il lock-down abbiamo potuto vedere solo dalla finestra e che si presentava spaventosamente vuota.
La città è un luogo che, come la casa, raccoglie le esigenze, i sogni, le preoccupazioni e ambizioni delle persone che la abitano, si fonda e si costruisce su queste dinamiche oltre a giocare un ruolo determinante nell’alimentarle. La scorsa settimana stavo passeggiando per le strade di Milano provando a fare attenzione a chi casualmente incrociava il mio cammino: un bambino che tornava da scuola in bicicletta, delle turiste che si scattavano una foto, un gruppo di colleghi che fumavano una sigaretta nella pausa, un ragazzo che giocava con il suo cane. Ognuno di loro stava vivendo lo stesso spazio fisico, nello stesso momento, ma con esigenze, bisogni e aspettative completamente differenti.
Ma di fronte a questa grande varietà e complessità (molto semplificata con questo semplice esempio), come possiamo “spostare i mobili” della nostra città affinché sia in grado di rispondere alle esigenze di ognuno? Come possiamo rendere questa riorganizzazione coerente e sostenibile per noi e per l’ambiente che ci ospita? Il tema della riorganizzazione urbana è sempre stato centrale per le grandi città (e non solo) e a seguito della pandemia questo aspetto si trasformerà in una sfida non indifferente, da cogliere e promuovere.
Sono tantissimi, ad esempio, i progetti che hanno visto la città di Milano trasformarsi da città industriale a città della moda, della finanza e della cultura fino a diventare, con la riorganizzazione degli spazi di Porta Nuova, City life e con Expo 2015 una vero e proprio punto di riferimento internazionale. Questa trasformazione degli spazi ha sempre significato anche trasformazione culturale, del modo di pensarsi di vivere e immaginare il mondo che ci circonda: la città si sviluppa infatti attorno alla visione dell’uomo, che però è limitata o alimentata dagli spazi e dalle risorse che la città offre nell’ottica di una profonda interconnessione.
L’esperienza traumatica del Covid-19 ci ha permesso di riconnetterci ai nostri bisogni e necessità più profonde, facendoci prendere consapevolezza dell’interconnessione tra noi e ciò che ci circonda ed è proprio da questa esperienza di crisi che può partire un processo di profondo rinnovamento anche riguardo la sfida della riorganizzazione urbana: pensare agli spazi che ci circondano dovrà comportare una riflessione sull’identità e la storia di quel territorio e della comunità che lo vive.
La città dovrà dunque diventare una specie di contenitore di servizi a 360 gradi. Welfare, sicurezza, lavoro, cibo, movimento, tutto dovrà convergere verso lo spazio pubblico caratterizzato dal ruolo determinante del verde con un approccio sostenibile (anche dal punto di vista culturale) e di profonda connessione con la natura. Le politiche di governance dovranno inoltre essere pensate e progettate insieme al cittadino per garantirne il benessere e lo sviluppo.
Se quest’ottica sembra essere stata perfettamente compresa dalle grandi città, bisognerà ancora fare molto per tutti quei territori che gravitano intorno a questi grandi centri urbani, cercando di evitare il fenomeno di svuotamento di questi luoghi che hanno un potenziale inesplorato e un’identità profonda, ma molto spesso frammentata e poco valorizzata e che possono diventare uno scenario importante per la ripartenza dell’Italia.
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