L’industria del Beverage in Italia impiega attualmente più di 80.000 lavoratori in tutta la penisola, il solo fatturato delle imprese operanti nel settore delle bibite analcoliche vale 4,9 miliardi di euro in fatturato annuo, quello delle acque minerali 2,7 miliardi, se poi si considerano tutti i settori legati alle bevande alcoliche come la birra che, nel 2019, stava registrando un trend di crescita importante arrivando a valere 3.4 miliardi di euro in fatturato. La crisi provocata dalla diffusione del COVID-19 sta portando e porterà delle gravi conseguenze anche a questo comparto dell’economia, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e la sopravvivenza di tante piccole e medie imprese. Per andare oltre i numeri e capire da più vicino cosa sta accadendo a questa importante industria italiana, abbiamo invitato un imprenditore che opera con successo da diversi anni nel settore a rispondere ad alle nostre domande. Lo ringraziamo della collaborazione e gli auguriamo il meglio per il proseguo della sua attività.
Iniziamo subito con una domanda diretta: cosa sta succedendo nel settore Beverage?
Beh, parlando del segmento analcolico soprattutto, stiamo osservando un ridimensionamento del mercato per le imprese. Quindi la prima conseguenza importante è una consistente perdita di fatturato e volumi che, soprattutto per aziende che hanno fatto importanti investimenti, è un grave problema.
In particolare, le politiche di “lockdown” e dunque il blocco di ristoranti, hotel, bar ed eventi stanno inevitabilmente disintegrando il nostro settore “out of home”. Inoltre, con l’ampliarsi a macchia d’olio delle misure restrittive in tutti gli stati europei, l’export che è sempre stato una valvola di sfogo e crescita per le aziende italiane ha subito un rallentamento importante che non è premiato dall’asimmetria degli interventi dei vari stati facendo presagire un periodo di crisi prolungato.
A proposito di export: cosa succede sui confini? Ci sono più controlli o è tutto fermo?
No, l’Italia non è rimasta isolata ma i controlli sulle frontiere si sono inaspriti. Questo sta determinando, per le aziende che servono la distribuzione europea con prodotti beverage made in Italy, l’incremento delle tariffe di trasporto. Conseguentemente, molte aziende si sono ritrovate a dover consegnare in perdita o subire importanti penali previste dai contratti da parte delle aziende di distribuzione straniere, soprattutto quando la pandemia era riconosciuta come un fenomeno unicamente italiano.
Adesso che parliamo di un fenomeno globale e, stando alle ultime stime, duraturo; pensa che questo potrà comportare dei mutamenti permanenti nel mercato del Beverage? Come pensa che reagiranno i consumatori?
I cambiamenti nei comportamenti d’acquisto e di vita saranno un altro effetto a medio lungo termine estremamente impattante. La perdita di molti posti di lavoro e quindi la conseguente riduzione del potere d’acquisto comporterà la riduzione e il taglio delle spese non ritenute necessarie dalle persone e tra queste tutta l’industria dell’out of home ne rimarrà colpita.
Non soltanto i cambiamenti nei comportamenti d’acquisto dovuti alla mancanza di denaro, anche i cambiamenti connessi alla paura di al frequentare luoghi con possibilità di affollamento incideranno parecchio. Pensiamo ai concerti, pub serali, complessi sportivi ed organizzazione di eventi; tutti questi segmenti dell’out of home e dell’entertainment verranno profondamente colpiti da una crisi di lungo periodo, legata per lo più a come tale virus ha cambiato le abitudini di vita delle persone.
Se i consumatori finali avranno difficoltà a riprendere le proprie abitudini di consumo allora secondo Lei parliamo…
… della chiusura definitiva di molti esercizi commerciali, i quali, a seguito del lockdown durato quasi 2 mesi, non riapriranno più la saracinesca. Anche le catene di ristoranti, con forti investimenti fatti nel 2019 – 2020 per sostenere le continue aperture in città strategiche, avranno difficoltà a seguito del virus. Questo è una causa diretta dello stesso, in quanto altrimenti tali attività avrebbero continuato a prosperare e crescere.
Pensiamo al calo presumibile del turismo estivo e realtà legate alle località turistiche – balneari o montane, alle grandi città turistiche. Questo non può che avere un impatto importante per il fatturato dell’industria beverage alcolico e non nel canale out of home. Le realtà stagionali sono una parte molto importante dei volumi delle aziende beverage che registrano importanti picchi di attività nei mesi estivi e con la ricorrenza delle festività. Senza contare l’impatto succitato sul lungo periodo e la difficoltà intrinseca di ri-avvicinare i consumatori.
Se l’out of home costituisce sicuramente una spina nel fianco, il settore retail dovrebbe poter compensare. La gente consumerà di più a casa comprando al supermercato, è corretto?
No, nemmeno il retail resta incolume da questa crisi economica senza precedenti. Dopo settimane di chiusura, anche la grande distribuzione inizia a perdere vendite e fatturato. Bisogna infatti considerare la minor capacità di spesa da parte delle famiglie ed il minor numero di ingressi giornalieri nei supermercati che porta inevitabilmente ad un acquisto dei prodotti essenziali ma registrerà un arretramento nelle bevande meno necessarie che si traducono per le aziende di beverage in una più alta marginalità. Anche non poter scegliere il supermercato dove andare costituisce un disincentivo all’acquisto, sono tutti fattori che presi singolarmente paiono irrilevanti ma insieme si traducono in importanti perdite.
Le imprese che operano nel settore del beverage sono di fatto in grande difficoltà, come pensate di reagire? Quali strumenti avete in mano?
Sicuramente la collaborazione con la filiera nel suo intero e, per rientrare piano piano dell’esposizione finanziaria, il ritardo dei mutui e il blocco degli investimenti. Ma bloccare non basta per uscire dalla crisi, chi avrà la forza di supportare il mercato anche in queste condizioni svantaggiose avrà un beneficio a medio lungo termine.
La riduzione dei costi è un tema importante. Siamo fiduciosi che l’utilizzo degli strumenti messi a disposizione dal governo possa riuscire a dare respiro alle imprese. Quello che lo stato sicuramente dovrebbe evitare di fare è mettere in campo altre tasse, come si paventava per il 2020 (plastic tax e sugar tax). L’introduzione di misure di questo genere andranno a peggiorare la situazione di crisi del settore nel suo intero colpendo maggiormente le imprese medio piccole in mano ad imprenditori italiani. Infatti chi ne uscirebbe meglio sarebbero le grandi multinazionali che, usufruendo di una maggiore possibilità di accesso al credito, uscirebbero dalla situazione di crisi con un mercato sicuramente ridotto nella grandezza complessiva ma con un numero di competitor inferiore e quindi con enormi spazio di crescita.
Altri interventi io non ne conosco, faccio impresa non politica, ma sicuramente può essere utile tutto ciò che permetterà di creare stimoli di crescita al settore out of home / turistico, incrementare la capacità di spesa delle famiglie attraverso aiuti che garantiscano una maggiore disponibilità a fine mese uniti anche ad operazioni di marketing per rinvigorire il mercato. Inoltre, possono essere previsti degli investimenti mirati atti ad aiutare i distributori a continuare ad operare e riprendere i volumi pre-crisi; senza di loro i nostri prodotti non possono raggiungere i consumatori finali.
Tutto questo è molto interessante e speriamo che le iniziative che auspica possano essere implementate per dare un po’ di respiro a quest’industria simbolo del made in Italy. La ringrazio.
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