Conoscete Shein, Primark o H&M? Probabilmente sì, in quanto marchi di punta del fast fashion che secondo il rapporto ‘Fast fashion global market opportunities and strategies to 2030: Covid-19 growth and change’ oggi vale circa 70 miliardi e toccherà quota 200 miliardi nel 2030.
Parliamo di negozi fisici e online che producono e vendono grandi volumi di abbigliamento acquistabili ad un bassissimo prezzo. Sembra quasi surreale entrare sulla piattaforma di Shein e osservare che le t-shirt e pantaloncini possono costare anche 3 o 4 euro.
Di primo acchito, può essere entusiasmante, soprattutto per noi squattrinati studenti universitari, l’idea di potersi creare un grande guardaroba ad un costo irrisorio.
Purtroppo, come spesso accade, non è oro tutto quello che luccica. Il fast fashion, questo tipo di produzione su enormi volumi e a bassissimi costi, è molto più nocivo di quanto possiate immaginare.
Il problema dell’inquinamento
Nel deserto di Atacama, in Cile, oggi è possibile visitare il cimitero del fast fashion: enormi colline di vestiti e scarti tessili abbandonati per una discarica a cielo aperto che si estende oltre l’orizzonte. Questa nuova attrazione è sicuramente nata anche dalla noncuranza di come “comprare a poco e gettare” possa essere grossa fonte, sempre più preoccupante, di inquinamento.
Lavoratori e lavoratrici impiegati a condizioni disumane
Vestiti che costano così poco per un business estremamente redditizio: come è possibile?
Parte del successo di questa industria poggia sicuramente sulle spalle dei lavoratori delle fabbriche del Fast Fashion, che per necessità sono disposti a tollerare salari bassissimi e condizioni di lavoro estenuanti. Spesso questo succede in paesi molto poveri come quelli del Sudest asiatico, tra cui spicca ad esempio il Myanmar.
Qual è il modo per combattere il Fast Fashion?
Educare il brand. Se pensiamo ai grandi marchi che hanno politiche incentrate sul fast fashion, è fondamentale mettere in atto una serie di iniziative che possano educarli ad una maggiore sostenibilità. Un processo sicuramente difficile – quello di cambiare gli equilibri – quando il business funziona.
La cosa più importate da fare è sicuramente aiutare i consumatori a sviluppare una nuova consapevolezze riguardo ai danni che vengono prodotti da tutto questo mondo. Se i consumatori, infatti, iniziassero a cambiare le loro abitudini di acquisto e orientarsi verso scelte più sostenibili, i grandi marchi in questione potrebbero a loro volta cambiare il loro modello di business e diffondere reali messaggi di sostenibilità.
Penso sia fondamentale, ad esempio, dire ai consumatori che esistono delle alternative e dei rimedi.
Per questo motivo oggi vi presenterò MUSTHAD.
Ho avuto modo di parlare con Eugenio Riganti, uno dei tre co-fonder di questa interessante realtà.
MUST HAD
Tre giovani di Torino e un’idea partita dal family business di uno dei co-fonder. Arianna, si può dire che sia cresciuta nel laboratorio artigianale in cui il padre da sempre recupera maglioni di cashmere per trasformarli e rimetterli sul mercato.
Da qui la prima idea embrionale del progetto: perché non digitalizzare questo lavoro artigianale per dagli più visibilità e diffondere iniziative legate all’economia circolare?
Eugenio e la sua squadra ha avuto così modo di entrare in contatto con realtà molto simili che, condividendo lo stesso obiettivo, si differenziano per la peculiarità della lavorazione e metodi per operare il riciclo dei capi.
Di qui poi, il core business di MUST HAD di creare una piattaforma che possa accumunare tutte queste realtà e metterle in contatto tra di loro. Piattaforma che poi ha il fine ultimo di mettere in vendita tutte queste opere d’arte create da veri e propri artisti specializzati. Per il momento MUSTHAD conta sulla sua piattaforma circa 35 brand.
L’obiettivo è dare voce a piccole realtà artigianali e individuali – ad esempio designer – che hanno una caratteristica in comune: produrre capi di abbigliamento e accessori recuperando scarti. Il termine scarti, molto grossolano, ci porta ad individuare principalmente tre categorie in cui operano gli artigiani che sono in contatto con MUST HAD.
Sono presenti artigiani che mirano a recuperare tutto quello che è il mondo dei capi usati: veri e proprio artisti che li ridipingono, ci disegnano sopra oppure usano la tecnica della tintura botanica. Altri invece scelgono, come modalità di lavorazione, di destrutturare il capo e usare questa materia per dare vita a qualcosa di totalmente nuovo. Un marchio che lavora con MUSTHAD, ad esempio recupera camicie e da queste crea dei boxer.
Oltre a questa realtà, c’è tutto il mondo degli artigiani che si occupa del capo d’abbigliamento finito e invenduto – e di conseguenza inusato.
Il terzo e grosso mondo è quello dei tessuti.
Quando si producono capi d’abbigliamento, si compra sempre più tessuto di quello che realmente si necessita e questo finisce per accumularsi nei magazzini. Ci sono dei brand che vanno a scovare questi tessuti, che spesso sono per di più di altissima qualità – si pensi a quelli usati nel mondo del lusso.
Dopo aver indagato il mondo di MUST HAD, ho chiesto ad Eugenio qual è il motivo per cui sono molto in voga realtà del Fast Fashion che continuano ad essere alimentate e valorizzate dagli stessi consumatori.
“purtroppo, non solo nell’ambito del fashion, il consumatore è stato abituato male. Spesso non è in grado di capire il vero valore che è alla base del prodotto. Quindi gli sembra di spendere tanti soldi perché non ne coglie la qualità” – mi spiega Eugenio.
“Noi poi come piattaforma e-commerce osserviamo questo fenomeno su più ambiti. Non riguarda solo la questione del prezzo del prodotto, ma anche tutto il mondo della spedizione. Con colossi come Amazon siamo abituati ad avere una consegna anche di 24 ore quando queste non sono le dinamiche che stanno alla base di una realtà sostenibile. Il consumatore spesso vuole tutto e subito e non vede con positività il fatto di attendere qualche giorno in più che il prodotto arrivi.”
Oltre al lavoro che i brand e consumatori devono porre in essere per abbracciare i principi dell’economia circolare, è necessario lavorare su noi stessi ed entrare nell’ottica che molte nostre abitudini sono sbagliate, distorte e nocive.
Se andate sulla piattaforma di MUST HAD, potrete sicuramente osservare che questa non ha i prezzi di Zara o H&M, ma è arrivato il momento di valorizzare il prodotto come se fosse un investimento. Spendere una cifra, anche più alta e che comporta un piccolo sacrificio in più, per acquistare un articolo che:
- Tuteli noi stessi, dato che vengono usate materie prime di qualità
- Tuteli le piccole imprese, che cercano di generare attività che possano migliorare la società
- Tutelare il pianeta, che non viene sfruttato e usato come discarica
- Tutelare chi lavora, consentendogli uno stile di lavoro e di vita dignitoso
Grazie Eugenio,
Grazie MUST HAD.
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