I non-modelli sfidano l’economia tradizionale

L’economia delle competenze sta trasformando il modo di fare impresa, superando i tradizionali modelli organizzativi. I “non-modelli”: per un’economia nuova, veloce, leggera, capace di generare valore da una più funzionale combinazione delle competenze.

L’anno che verrà si prospetta come tra i più interessanti sul piano del rilancio del tessuto imprenditoriale italiano, da un lato grazie alle ingenti risorse che il PNRR porterà in dote all’economia nazionale e dall’altro grazie a una ritrovata fiducia la cui “temperatura” è ben rilevata dall’ISTAT, che per il 2022 prevede una crescita del PIL al 4,7% e stima una crescita del 4,8% dei consumi; la sfida sullo sfondo di questi numeri certamente incoraggianti è però quello della riforma del sistema produttivo nazionale, un sistema ancora fortemente incentrato su modelli economici figli di stagioni in larga parte superate e che rischia di essere solo parzialmente capace di intercettare tutte le opportunità che la ripartenza post Covid sembra offrire.

L’economia italiana, ed in particolare il suo tessuto produttivo, hanno sempre rappresentato evidenze di rigidità che hanno finito nel tempo per limitare o indebolire la competitività delle nostre aziende sullo scenario dei mercati ormai sempre più globali; dalle imprese pubbliche a quelle private, la tendenza è stata quella a consolidare il modello economico post-bellico, caratterizzato da una forte concentrazione nel capitale emblema della “governance familiare”, da una forte localizzazione delle produzioni tipica del “modello dei distretti” e dal ricorso a modelli organizzativi spesso rigidi e per nulla flessibili rispetto alle sollecitazioni esterne del mercato.

Proprio i modelli organizzativi risultano di particolare interesse se si allarga lo spettro di indagine a come l’economia delle competenze stia trasformando il modo di fare impresa, mettendo in discussione alcuni dogmi tipici dell’imprenditoria; superando la dottrina classica dei tradizionali modelli organizzativi aziendali, da quello elementare o funzionale di ispirazione artigiana fino al più complesso modello divisionale legato ad una crescente industrializzazione dei processi, la digitalizzazione ha permesso di unire puntini che fino a questo momento complessi da mettere a fare comune.

La tradizionale composizione dei modelli aziendali classici, plasticamente rappresentata dagli organigrammi “verticali”, è stata progressivamente affiancata da nuovi “non-modelli”, ovvero tipologie di organizzazione aziendale non basate sul verticismo e sulla circolazione delle decisioni top-down ma ispirate ad un “orizzontalismo” delle competenze, ciascuna orientata a svolgere un pezzo del processo produttivo rinunciando “struttura” teorizzata dalla dottrina; un’economia nuova, veloce ma soprattutto leggera, capace di generare valore da una più funzionale combinazione delle competenze.

Un caso interessante da questa prospettiva di analisi è rappresentato da 25h Holding, azienda milanese lanciata dal giovane imprenditore Driss El Faria che si è rapidamente consolidata come punto di riferimento nel settore beverage grazie ad un “non-modello” veloce quanto efficace; attraverso brand come Aviva Wines, Bombeer (nata dalla partnership con l’ex calciatore della nazionale italiana Christian Vieri) o ancora MoodWine, El Faria ha traguardato un successo tanto rapido quanto difficile da raggiungere in un mercato saturo e già molto affollato quale quello delle bevande di largo consumo, facendo leva sulla leggerezza della struttura che ha utilizzato per aggredire lo spazio commerciale disponibile.

In particolare Aviva Wines, brand lanciato assieme a Diego Granese, imprenditore attivo nel campo dell’internazionalizzazione d’impresa, ha raggiunto un notevole risultato in termini di popolarità e sviluppo commerciale, nazionale e non solo;  Aviva ha rotto il tradizionale legame tra brand e luogo fisico della produzione, sostituendo alla produzione una fornitura e facendo del marketing un elemento caratterizzante del prodotto stesso: non più riduzione di costi, tema sempre annoso per gli imprenditori, ma una più attenta esternalizzazione e redistribuzione dei centri di costo figlia di un’impostazione orizzontale nel concepire l’impresa; il “non-modello” di El Faria si prepara inoltre a “istituzionalizzarsi” e diventare un software con la start-up Proonty, proponendosi come gestione per imprese della new economy.

Il superamento del vincolo di produzione, nodo tipico di ogni attività di impresa, è stato affrontato con grande innovatività da uDroppy, piattaforma nata dall’intuizione italiana e oggi operativa in tutto il mondo con sedi a Dubai, San Francisco e Hong Kong; fondata da Luca Borreani, Nicolo Manica e Carlo Bellati, uDroppy si è posta la mission di risolvere il problema di approvvigionamento dei beni commerciali che molto spesso attanaglia gli e-commerce; grazie ad un ampio database di fornitori, il venditore può scegliere i beni a lui più consoni e sbarcare direttamente sul web, senza più vincoli legati al magazzino o alla logistica, alleggerendo la propria struttura e potendo così dedicare maggiore attenzione alla attività marketing o finance.

La rinuncia a modelli organizzativi verticistici e la preferenza per impostazioni orizzontali, la capacità di redistribuire costi e l’abbandono di mercati tradizionali per la ricerca di nuovi spazi commerciali, sono caratteristiche comuni che rendono, pur nella loro diversità, 25h Holding e uDroppy alfiere di quell’economia delle competenze che affonda le sue radici nei nuovi scenari che la tecnologia offre oggi alla società.

Questa nuova economia, digitale e leggera, sembra oggi un tassello fondamentale per accompagnare la ripresa non solo italiana ma più in generale del sistema economico globale; gli spazi offerti da questo nuovo approccio alla nascita delle imprese, che sembra sfidare in innovazione i paradigmi della dottrina, rappresentano una nuova frontiera della nostra economia ma anche una concreta e avvincente sfida che sempre più imprese sembrano voler affrontare.

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