Il professore e politologo Vittorio Emanuele Parsi espone un’interessante riflessione sul rapporto tra democrazia e mercato. Un tema di grande attualità in un contesto in cui crisi economica, leadership autoritarie sempre più forti e comportamenti demagogici minacciano la tenuta e l’essenza del modello politico democratico.
Segue un estratto dell’intervista:
Le disuguaglianze presenti nella società sono state rese ancor più evidenti dalla crisi che stiamo vivendo, con divari, innanzitutto quello tra ricchi e poveri, che diventano sempre più ampi. Questa situazione può creare un clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche, che promettono una società di uguali che appare sempre più lontana dalla realtà odierna?
“La tensione tra il modello democratico e la sua realizzazione è qualcosa di congenito in questo regime politico: ci sono stati momenti storici in cui essa si è ridotta, ma la situazione standard non è affatto quella di scarsa tensione. Nelle democrazie moderne, l’uguaglianza non è un punto di partenza, un dato scontato, ma piuttosto una promessa. Una crisi come quella odierna, che accentua le disuguaglianze, produce però allo stesso tempo un’opportunità: il virus non ha alterato i rapporti di potere nel sistema, ma li ha resi meno stabili, e c’è allora la possibilità di cercare e costruire un nuovo equilibrio.”
Mentre gli USA vivono un momento di crisi economica e, con i fatti di Capitol Hill, anche una crisi della loro immagine storica di democrazia, Paesi dalla leadership autoritaria, come la Cina, sembrano uscire più forti da questa situazione. Riprendendo le parole di Xi Jinping, l’incedere della Cina sull’economia internazionale potrebbe portare con sé conseguenze politiche più visibili. La democrazia rischia allora di andare incontro a una sconfitta fatale?
“Che un giorno la Cina diventi il Paese più potente del mondo è possibile, non c’è dubbio che ci sia un trend molto forte, ma non bisogna scambiare un trend per una previsione.
Il nostro sistema occidentale è fondato su un triangolo, i cui vertici sono istituzioni liberali democratiche, un’economia di mercato aperta e un sistema internazionale fondato sulle regole. Il rafforzamento di ogni singolo polo è la condizione per rendere forti tutti gli altri. In questi ultimi quarant’anni non abbiamo avuto questo triangolo, ma c’è stato uno sbilanciamento progressivo tra mercato e democrazia e il sistema si è fondato soprattutto sul vertice dei mercati aperti. La nostra scommessa come democrazie è ricostituire questo triangolo liberale, aggiornandolo alle sfide del secolo.
Il grande vulnus che Trump ha prodotto nella democrazia americana è stato rendere pericolosissimo il momento di transizione del potere, che è stato esposto alla violenza, danneggiando così la più grande conquista recente della democrazia, ciò che la rende davvero superiore alle non democrazie: il ricambio non violento della leadership. Se questo aspetto fondamentale dovesse perdere la sua standardizzazione, il mondo andrebbe incontro ad un forte peggioramento.”
Cosa pensa dell’attuale quadro europeo? L’UE è comunità di uguali o si è discostata da questo principio?
“L’Unione è nata come soluzione per tentare di “addomesticare” le sovranità degli stati, che per secoli erano state la causa scatenante delle guerre. Inizialmente fu facile vincolare tali sovranità, vista la situazione di debolezza in cui si trovavano gli stati europei dopo i conflitti mondiali. Con l’uscita del mondo dalla guerra fredda e l’entrata in una nuova fase caratterizzata dall’egemonia americana, ma piuttosto lasca, le sovranità degli stati hanno ricominciato a farsi sentire, sbilanciando le relazioni interne. Nelle situazioni in cui bisogna decidere all’unanimità, i voti non si contano, ma si pesano, e i veti contano quanto i voti: nell’Unione, come si è visto con il Recovery Fund, il dato di realtà è che, per fare qualcosa, bisogna convincere la Germania. Se questa è d’accordo, i paesi “frugali” possono trattare quanto vogliono, ma alla fine si farà quanto deciso. Di fronte a questo scenario ci sono due possibilità: mandare tutto per aria, perché l’Unione non è la comunità di uguali ideale che era stata promessa, oppure imparare la lezione che abbiamo osservato con il Recovery Fund, dove tutto è partito da un’esigenza principalmente messa in campo dall’Italia e dalla Spagna, per poi essere raccolta dalla Francia e portata alla Germania, che essa ha fatto sua, portando ad un risultato.”
Negli ultimi anni nuovi strumenti, come Internet e i social media, hanno consentito al popolo di far sentire la propria voce senza intermediari, dando modo di esercitare e concretizzare il proprio potere in modo più diretto e immediato rispetto al passato: Internet può essere visto come un’arma a favore della democrazia o rischia invece di condurci a un’oclocrazia, cioè una sua forma degenerata conseguenza di comportamenti demagogici?
“Non c’è dubbio che questi strumenti portino una serie di vantaggi, ma celano anche dei rischi. Nei social sono presenti tante piccole bolle comunicative: ognuno di noi si ritrova all’interno di una bolla con persone che la pensano al nostro stesso modo, rafforzando così le nostre convinzioni. Il rischio principale dei social è che si perde il rapporto con l’esterno, il contatto con realtà diverse, con cui ci si mischia, dove si osserva e si comprende: viene meno l’esperienza diretta, che è ciò che permette di sfidare i propri giudizi, che spesso sono pregiudizi, ed evolvere. Un problema che c’è sempre stato, ma proviamo a immaginare un mondo in cui muoversi resti privilegio di un numero ristretto di persone, mentre gli altri conoscono il mondo solo attraverso la realtà virtuale: il rischio è che si perda l’individuo sociale.”
Ringraziamo il professor Parsi per il suo prezioso contributo e vi invitiamo ad approfondire il tema grazie a questi interessanti spunti di riflessione, guardando la video intervista qui sopra.
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